L’ANIMA NELLA TRADIZIONE DEI POPOLI

da | Set 6, 2020 | Riflessioni

La testimonianza di Ginetta relativa al corpo di luce induce una riflessione sui concetti di rinascita e di resurrezione.

La rinascita può avvenire, in chiave simbolica, dopo un evento importante, che cambia radicalmente la nostra percezione della realtà, il nostro modo di pensare e il nostro modo di vivere.  Rinascere è anche possibile, secondo alcune teorie, in quanto ci si reincarna, entrando nuovamente nella vita terrena con un nuovo corpo. Rinascita, secondo altre teorie, è nascere nuovamente nella dimensione ultraterrena, essendo l’immersione dell’anima nel corpo considerata una “morte”.

Resurrezione, diversamente da rinascita, è, in greco, anàstasis, letteralmente “il far alzare, l’alzarsi”. Nella tradizione ebraica la resurrezione è connessa con la Pasqua, ossia con Pesach, il passaggio, termine che allude sia al passaggio dell’Angelo della Morte, sia al passaggio dalla schiavitù alla libertà.

Nella tradizione cristiana la Pasqua di resurrezione è il passaggio di Gesù dalla morte alla vita.

In ambedue i concetti è implicito un cambiamento di stato che attiene ai concetti di anima, corpo e spirito, definiti in molti modi in varie tradizioni.

Ed è su alcuni di questi concetti tradizionali che è utile soffermarsi, al fine di meglio comprendere cosa si può intendere per rinascita e per resurrezione.

L’anima principio vitale

Anima deriva dal latino animus, dal significato di spirito, simile al greco anemos, vento e genericamente significa principio vitale.

L’accezione comune del vocabolo anima ne ha fatto uno dei due elementi, assieme al corpo, costitutivi dell’essere umano, ma tale riduzione rende impossibile capire a fondo cosa sia l’anima o, meglio, cosa siano le anime.

E’ necessario, pertanto, un approfondimento, che implica una visione ologrammatica e frattalica della realtà dell’universo nel quale abitiamo e del quale siamo parte.

Tra i Maori ogni essere umano è composto di quattro elementi: un principio divino eterno, conosciuto come toiora;  un ego, che scompare dopo la morte; un’ombra-spettro o psiche, che sopravvive alla morte e un corpo.

Tra i nativi Oglala l’elemento divino è chiamato sican, ed è considerato identico a ton, o essenza divina del mondo.  Altri elementi dell’individuo sono: nagi, o personalità, e niya, o anima vitale. Dopo la morte sican si riunisce al Fondamento divino di tutte le cose, nagi sopravvive nel mondo spettrale dei fenomeni psichici e niya scompare nell’universo materiale.

In Mesopotamia lo schema principale è: ilu, principio divino, ishtaru, fato personale, inclinazioni; lamassu, caratteristiche individuali; shedu, forza vitale alla quale è connesso il potere generativo bashtu.

Per i Greci, l’anima del vivente, l’Io omerico, è costituita dal complesso tymos-kardie, dove il tymos è l’anima-respiro-sangue che è connessa con la coscienza ed è il veicolo del menos (energia). Tymos e menos hanno sede nelle frenes (polmoni) e il complesso cuore polmoni è l’organo della mente, della coscienza centrale.

L’étor, connesso con il tymos è l’agente che determina la respirazione e aío, equivalente del prana indù, è l’inspirazione e l’inspirare è percepire: in altri termini acquisire informazione.

Il nóos, che ha sede nel petto ed è identificato con il cuore (kradie), include il significato di intelligenza o intelletto; non è materiale, tangibile. In Anassagora è l’elemento ordinatore dell’universo. Nell’uomo, in quanto corrente di coscienza del tymos, il nóos percepisce attraverso i sensi. Da nóos, più tardi, deriverà νοῦς, cosicché νοῦς è pensabile come il Sé, coscienza individuale, in rapporto con il Νοῦς, coscienza universale.

Infine, Nóon è la conoscenza.[1]

La psiché, principio vitale, associato alla testa (cervello) è immagine dell’aion, il corso della vita con tutto il suo contenuto, il solo che proviene dagli dei.

La psichè abbandona l’uomo al momento della morte e si trasferisce nell’Ade, dove assume la forma di eidolon, anima fantasma, una sorte di doppio che agisce ancora nel mondo dei vivi.

La psiché è dimora del daimon, così che la testa (il cervello) è abitata dal daimon.  

La psiché è seme e fecondatrice universale e Eraclito, secondo Aristotele, affermava che fosse Arché, il principio primo.

Nell’accezione eraclitea, pertanto, la psichè umana è un frattale della Psiché-Arché.

Nelle Triadi bardiche, relative alla cultura druidica,  l’essenza primitiva è l’Awen.

I vari stati dell’essere si esplicano e determinano in tre cerchi principali: il cerchio della regione vuota, Ceugant, sede di Duw, il demiurgo creatore; il cerchio delle trasmigrazioni, Abred e il cerchio della felicità, Gwynfyd.

Tutti gli esseri umani attraversano tre fasi: l’inizio in Annwun, la migrazione in Abred e la pienezza in Gwynfyd.

Ci sono tre vittorie che l’essere umano deve conseguire per superare la legge di necessità che lo lega ad Abred: la scienza Skiant, la forza, Nerz e l’amore Karantez.

La conoscenza, scopo dell’infusione dell’Awen nella materia, si consegue trasmigrando in Abred, trasmigrando in Gwynfyd e ricordandosi di tutte le cose fino all’Annuwn. L’essere umano, come Manred, ossia corpo di luce contenente l’informazione essenziale che ne connota l’individualità: (1) esce dal Ceugant ad opera del demiurgo creatore Duw, dimentica il suo Awen principiale, ossia il suo Sé, la sua vera essenza e, come germe di luce, (2 ) scende in Annuwn, l’abisso materiale, dove si riveste di un corpo e (3 ) inizia le migrazioni in Abred, che possono essere più di una.

Fatte le esperienze necessarie l’essere umano, rompendo il legame di necessità che lo trattiene in Abred, 4) trasmigra in Gwynfyd, il mondo bianco, come aggregato energetico non materiale, dove ha la possibilità di passare, a volontà, per cambiamenti di stato successivi e dove si riappropria pienamente dell’Awen, ossia dell’essenza principiale.

 Nella XXXIX Triade è scritto: “Tre cose che non avranno fine, a causa della necessità della loro potenza: la forma dell’esistenza, la qualità dell’esistenza e l’utilità dell’esistenza; poiché, queste cose, liberate da ogni male, dureranno eternamente, presso gli esseri animati e inanimati, nella diversità del bello e del bene nel cerchio di Gwynfyd”.

Per i Cinesi l’uomo riunisce in sé due essenze: soffi leggeri e puri e soffi pesanti e impuri. “In lui la molteplicità degli elementi si manifesta attraverso diverse anime. Si distinguono le huen, anime della sostanza leggera, celste e divina e le sette p’o, anime del corpo, in particolare dello scheletro”.  [2] I p’o  sono materiali ed hanno funzioni vegetative. Le hun sono prodotte dopo la nascita dall’aria inspirata e si liberano dopo la morte. L’anima-respiro (hun) è collocata nel cuore e presiede al pensiero, alla volontà e alla coscienza. La sostanza delle anime eteree è il ch’i.

Nella cultura ebraica nephesh è la designazione principale dell’Io cosciente che percepisce e pensa; è associata al sangue-respiro e al cuore; è simile al greco tymos.

Ruah è vento-spirito ed è anche lo spirito di Yahweh che penetra in ogni uomo per colmarlo di saggezza ed è simile alla greca psichè.

Nella cultura induista, Manas è la mente cosciente che percepisce, pensa, prova emozioni e risiede nel petto e nel cuore. L’Ātman è l’”essenza” o il “soffio vitale”; è il Sé individuale, proiezione individuale del Brahman: un concetto che richiama quello di frattalità.

Aśu è vita, vitalità e forza e Agni lo porta in cielo alla morte del corpo. Aśu indica “respiro”, “spirito vitale” oppure, dal termine as, indica l’esistere.

Bhut –butha è il fantasma. La radice è bhu: produco, faccio essere, genero, ma anche essere, diventare. Da questa nasce il perfetto di esse, fui. Esse poi ha per forma originale as. Il fantasma, pertanto, si pone come un aspetto di Asu. Con la morte l’esistenza cessa e rimane l’essenza.

Nel Corpus Hermeticum l’anima è una sostanza immortale ed eterna, dotata di ragione e di intelletto, che rinasce da un corpo fisico ad un corpo composto di potenze, indissolubile e immortale. L’anima è, pertanto, “una sostanza immortale, eterna, intellettiva” che entra nel corpo per “necessità”.

Nell’Hermetica oxoniensia è scritto che l’anima è costituita da ragione (logos) e intelletto (nous) e in Estratti XVI si trova l’affermazione che “carattere dell’anima è l’attività intellettiva conforme la sua essenza”.

Nelle Definizioni del Corpus Hermeticum, l’anima è “una sostanza immortale, eterna, intellettiva” che entra nel corpo per “necessità”.

Tale necessità sembrerebbe determinata dall’opportunità offerta all’anima di acquisire l’intelletto. Sempre nelle “Definizioni”, infatti, è scritto: “L’anima, entrata nel corpo, dovrebbe acquistare l’intelletto perché ogni anima prima di entrare nel corpo è senza intelletto; e l’intelletto si congiunge con essa nel corpo, e così, in seguito viene all’esistenza un’anima intelligente”.

L’incorporazione, pertanto, non costituirebbe una punizione o una caduta, come sembrerebbe di cogliere in altre parti del Corpus e,  soprattutto, negli scritti più vicini a linee di pensiero dello gnosticismo; al contrario costituirebbe un’esperienza che consente all’anima di “venire all’esistenza” come anima intelligente.

L’anima, par di capire, in potenza “sostanza immortale, eterna, intellettiva” verrebbe “all’esistenza” come tale passando attraverso l’esperienza dell’incorporazione. Da qui la “necessità”.

Tuttavia questo “venire all’esistenza” non è un risultato dato per scontato, ma un’opportunità, in quanto, come è scritto delle “Definizioni”: “L’anima, entrata nel corpo, dovrebbe acquistare l’intelletto, quella che non acquista l’intelletto [ne] esce come [vi] è entrata”.

Sembrerebbe pertanto che il passaggio nell’esperienza materiale consenta all’anima di acquisire consapevolezza della propria essenza e di esercitare sia la ragione, sia l’intelletto ed esercitando ragione e intelletto di porre in atto quanto è potenzialmente nella sua essenza.

Aristotele chiama lo stato di perfezione che ottiene un ente che ha raggiunto il suo fine, attuando pienamente il suo essere in potenza entélechia, dal greco entelés, compiuto, intero. Il passaggio nell’esperienza materiale consente all’anima di conseguire la sua entélechia, la sua completezza.

Una delle conseguenze della consapevolezza acquisita è la rinascita o palingenesi dell’anima, rivelata al figlio di Ermete, che consiste nel “non mostrarsi più nella forma del corpo a tre dimensioni”, nel superare cioè il corpo fisico, che “è lontano dalla generazione sostanziale” dissolubile e mortale per entrare in un corpo “composto di potenze”, che è indissolubile e immortale, divenendo nello stesso tempo consapevole di “essere dio e figlio dell’Uno”.

Dieci potenze, scendendo da dio all’uomo, concorrono alla purificazione e con il sopraggiungere della Decade, che scaccia la Dodecade, avviene la “generazione intellettuale”, cioè la rinascita, la quale a sua volta si traduce in un indiamento: “noi diventiamo dio” (vedi CH XIII e CH I).

Uscite dal corpo fisico, come spiega a Ermete Trismegisto Poimandres (CH I), ossia Pe eime n Ra (la Conoscenza di Ra, l’Intelletto, il Nous assoluto che tutto crea), le anime giungono alla natura ogdoadica, si consegnano alle potenze e poi, divenute esse stesse potenze, entrano in dio. Poimandres, dopo la spiegazione, dà ad Ermete il permesso di andarsene e si unisce alle potenze. “Detto ciò – è scritto nel CHI – Poimandres andò ad unirsi alle potenze”.

Le potenze e dio costituiscono un insieme, ma le anime, dopo aver compiuto il percorso di consapevolizzazione nella incorporazione ed essere rinate, mantengono la loro individualità.

A supportare l’idea egizia della sopravvivenza del corpo di luce è il testo Per em Ra (Per salire alla luce), solitamente definito Libro dei morti, dove il defunto/iniziato, che afferma di “prendere forma di un Ba vivente”, dice: “Io sono lui, io sono Ra”. Ra è il sole, simbolo della luce che, nella sua epiclesi di Khepri (Ra del mattino), è colui che viene in esistenza. Sempre nel Per em Ra è scritto. “Io sono il Ba di Ra, uscito dal Nun, questo Ba del dio che ha creato Hu, il verbo”.

Nei Testi dei sarcofagi è espresso un concetto analogo: “Io sono Ra, uscito dal Nun, io sono l’Eterno, io sono colui che ha creato Hu, il verbo, io sono Hu, il verbo”.

Se il defunto/iniziato afferma di prendere la forma di un Ba vivente e le successive affermazioni riguardano luce e energia (vibrazione), è ipotizzabile che i testi citati confermino l’idea che dopo la morte del complesso costituente il corpo fisico il Ba, ossia la presenza dell’essenza dell’intelligenza suprema nell’essere umano, continui ad esistere in altra forma o dimensione.

L’antico Egitto (come ho già scritto nell’articolo: “Costruire il corpo di luce – Il valore dell’esperienza”), ci consegna una struttura dell’essere umano che rende più facile comprendere il passaggio tra i mondi di quanto lo possa la solita bipartizione tra corpo e anima o la tripartizione tra corpo, anima e spirito.

Khat o Get è il corpo, la parte più materiale dell’essere umano. Khat è il cadavere e Get è il corpo vivo.

Il Ba è l’anima intesa come essenza presente, come Akh manifesto.

Ib-Ab è il cuore-coscienza, sede di Sia ( l’intelligenza) e controparte spirituale di Haty (il cuore materiale).

Khaibhit è il corpo eterico, un’ombra, un doppio immateriale che funge da collegamento tra il corpo e gli elementi incorporei dell’individuo.

Il Ka è la forza vitale universale che nell’essere umano diventa corpo energetico.

Il Sekhem è la forza di coesione dei vari elementi che costituiscono il corpo.

Il Ren è l’identità dell’essere, il nome occulto che mantiene in vita e conferma la vita. Nel nome occulto è racchiusa l’essenza della cosa nominata.

L’Akh o Akhu  è il corpo di luce, l’ipostasi luminosa dell’eterna energia cosmica che si congiunge con il divino. L’Akhu, nell’essere umano incarnato esiste in potenza, ma per dargli corpo è necessario un lavoro su se stessi. L’Akhu determina il destino degli esseri umani risvegliati e li trasfigura.

Sakhu o Sa-Hu è l’intelligenza suprema (Sa), in azione (Hu). S (la sapienza) causa l’Akhu, il primo involucro dello “spirito divino”, ossia della particella di Sa che entra in azione.

Quando un essere umano si stacca dal mondo materiale si spegne il Ka, la forza vitale che nutre il corpo e cessa di essere attivo il Sekhem, la forza di coesione dei vari elementi che mantengono il corpo in ordine.  Il Get, o corpo vivo, si trasforma in Khat, il cadavere. Il Ren, che possiamo considerare come il codice segreto dell’Io, ossia il codice che lega l’identità eterna con l’identità transeunte terrena, cessa di essere attivo.  Il Khaibhit, il corpo eterico, un’ombra, un doppio immateriale che funge da collegamento tra il corpo e gli elementi incorporei dell’individuo, continua ad esistere per qualche tempo, per poi dissolversi.

Dei nove elementi costituenti un essere umano vivo nel mondo materiale, al passaggio di quest’ultimo dallo status di Get a quello di Khat, ne rimangono tre: il Ba, che rappresenta la presenza dell’essenza e l’Akhu manifesto e che ci fa capire che la nostra identità non cessa con la morte del corpo materiale; l’Akhu, o corpo di luce e il Sakhu o Sa-Hu, il nostro “grumo” di pensiero in azione.

Nella Lettera ai Corinzi, San Paolo ci conferma che dopo la morte torneremo ad essere l’uomo del cielo:“Ma qualcuno dirà: «Come risorgono i morti? […] Il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo. Come è l’uomo terreno, così sono quelli di terra; e come è l’uomo celeste, così anche i celesti. E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste. Vi dico questo, o fratelli: carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che si corrompe può ereditare l’incorruttibilità. Ecco, io vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba”.

Negli atti di Filippo (apocrifo del IV secolo) Gesù insegna: “Se non farete che il sotto divenga il sopra, che la destra divenga la sinistra, non entrerete nel regno, perché tutto l’universo è volto nel senso contrario e così ogni anima che è in esso”.

L’inversione è l’atto del volgersi dell’anima dal mondo sensibile a quello intelleggibile evocando la multidimensionalità. Un concetto, quest’ultimo che rinvia ad importanti orizzonti scientifici.  

© Silvano Danesi


[1] Vedi in proposito B. Onians – Le origini del pensiero europeo – Adelphi

[2] AA.VV. Geni, angeli e demoni, Mediterranee